CURIOSITA' - compagnia Teatrale Caffè Sospeso

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" MODI DI DIRE "


Perché si dice "merda"?
Quando ancora non esistevano le automobili chi andava a teatro, potendoselo permettere, usava la carrozza. Tanta cacca di cavallo davanti al teatro voleva dire tante carrozze e quindi tanto pubblico  (pagante). Per questo si augura "tanta merda" ai teatranti che stanno per andare in scena.





Perché nel mondo anglosassone agli attori che stanno per andare in scena si augura "break a leg"?
Letteralmente break a leg significa "rompiti una gamba"; ci sono diverse teorie sul motivo per cui si fa questo strano augurio. Una delle più affascinanti vuole che si auguri all'attore di ricevere talmente tanti applausi da rompersi una gamba a forza di inchinarsi per ringraziare il pubblico.


" SUPERSTIZIONI "

 Perché il colore viola, in teatro, porta sfortuna?

Il viola è il colore della Quaresima, periodo durante il quale, nel passato, era assolutamente proibita qualunque forma di spettacolo. In tempo di Quaresima, quindi, gli attori non potevano lavorare e, di conseguenza, non mangiavano neanche.






Paese che vai, superstizione che trovi.

Nell'ambiente teatrale francese il verde porta sfortuna. Questo perché era il colore del costume che indossava Molière quando, il  17 febbraio del 1673, si sentì male in scena durante una replica de "Il malato immaginario", morendo qualche ora dopo.




                                     


Non sono solo il viola e il verde a portare sfortuna nel mondo del teatro. Per gli spagnoli da evitare sul palcoscenico è il giallo. Il motivo di ciò starebbe nel fatto che, essendo di questo colore la parte interna della "muleta", il giallo è l'ultimo colore che il matador vede prima di morire nel caso che il toro lo incorni.





Un'altra tra le superstizioni che circolano fra i teatranti c'è quella secondo la quale fischiare sul palcoscenico porta sfortuna. Anche per spiegare ciò ci sono diverse teorie:Secondo alcuni fischiare evocherebbe i fischi di disapprovazione del pubblico. Secondo altri deriverebbe dal fatto che un tempo, soprattutto nel teatro inglese, i tecnici di scena e gli attrezzisti venivano reclutati tra i marinai. Questi, durante gli spettacoli, usavano comunicare tra loro con un particolare codice di fischi (lo stesso utilizzato sulle navi per le manovre in navigazione); se un attore fischiava, poteva interferire nelle comunicazioni e quindi provocare veri e propri disastri.






Tra le tante superstizioni che circolano fra i teatranti, c'è anche quella secondo la quale è presagio di sventura se il copione cade a terra durante le prove. L'attore a cui cade il copione deve raccoglierlo e sbatterlo per tre volte a terra nel punto esatto in cui era caduto. Nessun altro deve intervenire. Tutto ciò perché la caduta del copione presagirebbe la "caduta" dello spettacolo.





Un'altra superstizone diffusa nel mondo del teatro è quella secondo cui la tragedia di Shakespeare "Machbet" porta sfortuna. Anzi, solo pronunciare in teatro il titolo o una qualsiasi battuta del copione al di fuori delle prove o delle recite, sarebbe presagio di sventura. Per riferirsi a questo dramma i teatranti anglosassoni,  per esempio, dicono "The scottish play" , cioè "Il dramma scozzese".
Diverse sono le interpretazioni sui motivi di questa dicerìa. Secondo alcuni l'attore che per primo interpretò il Machbet morì sulla scena o a pochi giorni dalla prima. Secondo altri pronunciare il titolo o le battute evocherebbe le tre streghe. Una leggenda vuole addirittura che Shakespeare abbia utilizzato dei veri incantesimi per scrivere le scene delle tre streghe. In ogni caso il Machbet è una delle opere shakespeariane piu rappresentate e realizza quasi sempre ottimi incassi.






  Tra i teatranti è abbastanza diffusa la credenza che pronunciare la parola "corda" sul palcoscenico porti sfortuna.
Anche questa superstizione, come quella del colore viola, deriva dal tempo in cui la Chiesa Cattolica esercitava il suo potere temporale su ogni aspetto della vita del popolo. La "tortura della corda" e l'impiccagione erano punizioni tutt'altro che rare, nel periodo dell'Inquisizione, contro i peccatori di qualsiasi genere, e gli attori erano considerati appunto peccatori della peggior specie, meritevoli di essere sepolti fuori delle mura delle città, in terra sconsacrata.
Come funzionava la tortura della corda? Semplicissimo: al soggetto venivano legati i polsi dietro la schiena con una lunga corda e poi veniva sollevato da terra con una carrucola, in modo da provocare la slogatura delle spalle. Un sistema facile facile e, soprattutto, efficace ed economico.






Il colore viola, il verde, il giallo, la parola "corda", le battute del Machbeth eccetera sono tutte cose assolutamente da evitare sul palcoscenico. Ma c'è qualcosa che, secondo le superstizioni diffuse tra i teatranti, porta fortuna? Ebbene sì: trovare un chiodo storto sul palco.
Secondo molti ciò garantirebbe il ritorno su quello stesso palcoscenico, un po' come gettare la monetina dentro la Fontana di Trevi è garanzia di un ritorno a Roma.
Non è ben chiaro il motivo di questa superstizione. Forse deriva dal fatto che i chiodi venivano usati (e spesso vengono tutt'ora usati) per fissare le scenografie alle tavole del palco; il chiodo storto voleva dire che l'attrezzista aveva messo molta fretta nel piantarlo, e quindi lo spettacolo era estremamente "atteso" dal pubblico.






" SIMBOLI "
Il simbolo per eccellenza del Teatro sono le due maschere, quella che ride e quella che piange. Esse rappresentano la commedia e la tragedia. Ma quali sono le differenze tra questi due aspetti dell'arte drammatica?        Comunemente si pensa che la commedia fa ridere, mentre la tragedia fa piangere. In realtà non è esattamente così. In "Filumena Marturano" non c'è  praticamente niente da ridere, eppure è  una commedia. Lo stesso vale per "Sei personaggi in cerca d'autore" e chi più ne ha, più ne metta. E allora? La differenza fondamentale sta nelle peculiarità degli eventi e dei personaggi. In una tragedia  personaggi straordinari, eroi, dèi, regnanti, sono protagonisti di eventi straordinari;  in una commedia personaggi ordinari sono protagonisti di eventi ordinari.  Che poi tali eventi e personaggi suscitino il riso o il pianto, è secondario.





In teatro, così come in ogni altro luogo in cui si tenga uno spettacolo di qualsiasi genere, il pubblico applaude per esprimere il proprio apprezzamento. Le più antiche testimonianze sull’applauso risalgono al periodo del teatro classico greco. L’idea originaria è quella di esprimere approvazione con rumori, perciò il pubblico gridava, batteva le mani e pestava i piedi. L’uso passò poi ai Romani, il cui entusiasmo era spesso così scomposto da arrivare alla violenza: Augusto fu costretto a regolare gli applausi, imponendo un disciplinatore che dava il segnale di inizio. Col passare dei secoli l’uso dell’applauso si è modificato e, per fortuna, non arriviamo alle gazzarre dell'antichità









Il rosso è il colore dominante nella quasi totalità dei teatri. L'uso di questo colore ha iniziato ad affermarsi nell'800 perché simboleggiante il lusso e lo sfarzo. Il velluto per il rivestimento delle poltrone pare sia stato imposto da Wagner per le proprietà fonoassorbenti di questo tessuto. Attualmente si usano materiali ignifughi per le poltrone, ma queste continuano ad essere preferibilmente rosse.






I fischi sono quanto di peggio possa capitare a un attore durante uno spettacolo. Sono segno di disapprovazione, di critica estremamente negativa. Ma da dove deriva questa consuetudine?
Probabilmente da un passo della Bibbia, precisamente dai versetti dal 6 all'8 del nono capitolo del "Libro dei Re", quello in cui si racconta del Re Salomone e della costruzione del Tempio di Gerusalemme:
"Ma se voi e i vostri figli vi ritirerete dal segurmi, se non osserverete i comandi e le mie leggi che io vi ho proposto, se andrete a servire altri dei e a prostrarvi davanti ad essi, allora eliminerò Israele dalla terra che ho dato loro, rigetterò da me il tempio che ho consacrato al mio nome; Israele diventerà la favola e lo zimbello di tutti i popoli. Questo tempio sarà una rovina; chiunque vi passerà accanto resterà sbigottito, fischierà di scherno..." (La Sacra Bibbia, versione CEI 2008)
Nel mondo con tradizioni non ebraico-cristiane, infatti, i fischi non hanno lo stesso significato: in Giappone, ad esempio, l'attore più bravo e famoso viene accolto da bordate di fischi e da ogni genere di rumore, a significare l'apprezzamento del pubblico.
Nota di colore: nella Smorfia, i fischi a teatro corrispondono al numero 32.




" CURIOSITA' "
Nel teatro greco non esistevano le attrici. Nonostante la letteratura teatrale greca sia ricchissima di personaggi femminili a dir poco memorabili (Medea, Ecuba, Clitennestra, Elettra, Antigone, Fedra...),  solo gli uomini potevano recitare in pubblico e interpretavano, grazie alle maschere, anche i ruoli femminili. Nel teatro latino le donne potevano partecipare agli spettacoli di mimo, come danzatrici, ma le tragedie e le commedie venivano interpretate esclusivamente da attori maschi. Solo nel XVII secolo, con la Commedia dell'Arte, in Italia, le donne iniziarono a calcare le scene.










Nella Grecia antica i teatri, tutti all’aperto, erano ricavati sfruttando i pendii delle alture. Lo spazio scenico era in basso, le gradinate per gli spettatori in alto, disposte ad emiciclo. Alla base delle gradinate c’era uno spazio di solito circolare, detto “orchestra”, dove il coro eseguiva le parti ad esso assegnate e le danze (orkèomai, in greco, significa “danzare”). Dietro l’orchestra c’era la “skenè”, un edificio rettangolare, col lato lungo rivolto verso gli spettatori; era dotato di porte ed aperture e rappresentava di solito un palazzo, ma poteva essere modificato con pannelli di legno dipinti. La parola skenè significa “tenda”; in origine, infatti, era costituita da un telo dipinto. Tra la skenè e l’orchestra c’era lo spazio rialzato entro il quale agivano gli attori protagonisti: il “proskènion” (in greco, “prima della skenè”), antesignano dell’attuale palcoscenico. Gli attori accedevano al proskènion dalle aperture sulla facciata della skenè, mentre il coro arrivava nell’orchestra attraverso i “parodoi”, corridoi tra il limite laterale delle gradinate e la skenè.






Secondo una leggenda, il primo teatrante della storia fu Tespi, vissuto in Grecia nella seconda metà del sesto secolo avanti Cristo. Autore e interprete delle sue opere, fu il primo ad aggiungere l'attore al coro, cui in precedenza era affidata per intero la narrazione dei drammi. Si narra che girasse per l'Attica, in compagnia di due suoi allievi, a bordo di un carro su cui trasportava le attrezzature di scena, fermandosi in ogni centro abitato a rappresentare le sue opere. Il carro veniva utilizzato come palcoscenico e il pubblico gli tributava ovunque grandi successi.





Mentre per i greci il teatro era un luogo in cui gli spettatori andavano per imparare, per i romani aveva soltanto funzione ludica: a teatro si andava per divertirsi. Per questo gli autori greci si distinguevano per le tragedie mentre nel mondo latino eccellevano i commediografi.
Gli edifici teatrali romani (nella foto quello di Aspendos, in Turchia, uno dei meglio conservati) erano costruiti in piano, senza sfruttare come in Grecia i pendii naturali e potevano essere coperti da una serie di teli (velarium) che riparavano gli spettatori dal sole.






l primo teatrante Romano è stato Livio Andronìco (nella foto la statua che lo raffigura, conservata ai Musei Vaticani), nel III secolo avanti Cristo. Pare sia stato l'autore della prima opera teatrale latina.  Originario di Taranto, in quella che allora era la Magna Grecia, ex schiavo, recitava personalmente i suoi testi. Stando a quanto racconta Tito Livio nella sua Storia di Roma "Ab Urbe condita", Andronìco è stato l'inventore del playback:
«Livio Andronìco fu attore dei propri drammi. Si dice che una volta, richiamato più volte in scena, era rimasto senza voce; chiesto il permesso, stabilì di far cantare davanti al flautista in sua vece un ragazzo, mentre lui eseguì la monodia con una gestualità notevolmente più espressiva, poiché non era impedito dall'uso della voce.»





Nel Medioevo le prime forme di teatro consistevano nella drammatizzazione, durante le funzioni religiose, di episodi biblici e utilizzavano le chiese come spazi scenici. Gli "attori" erano sacerdoti e chierici e lo scopo di queste rappresentazioni era essenzialmente didattico: servivano cioè ad illustrare, in un modo comprensibile anche ai meno istruiti (in pratica la quasi totalità dei fedeli) quanto narrato nelle Sacre Scritture. In seguito queste rappresentazioni si spostarono fuori dalle chiese, sui sagrati, mantenendo però gli stessi temi.
Contemporaneamente nasceva anche una forma di teatro di strada, prodotto da attori e musici girovaghi che allestivano spettacoli buffoneschi, di mimo e farse popolari. Queste compagnie agivano in barba alle norme ecclesiastiche. La Chiesa osteggiava queste forme di intrattenimento, considerando gli attori grandi peccatori in quanto, travestendosi e interpretando personaggi irreali e fantastici, stravolgevano la Creazione Divina. Nel 682 il Concilio stabilì il divieto di tenere questi spettacoli nelle pertinenze delle chiese e i girovaghi si spostarono nelle piazze e nelle strade, dando inizio al teatro profano (dal greco "pro-fanòs", cioè "fuori dal tempio").





In epoca medievale, a partire dal decimo secolo, si diffonde in Europa la figura del GIULLARE,  artista che si guadagna da vivere esibendosi nelle piazze: sono attori, mimi, musicisti, imbonitori, addestratori di animali, ballerini e acrobati.
Edmond Faral, filologo francese e studioso di letteratura medievale,  nel volume "Les jongleurs en France au Moyen age" (1910), scrive:
<<Il giullare è un essere multiplo; è un musico, un poeta, un attore, un saltimbanco; è un vagabondo che vaga per le strade e dà spettacolo nei villaggi; (...) è il ciarlatano che diverte la folla agli incroci delle strade; è l'autore e l'attore degli spettacoli che si danno nei giorni di festa all'uscita dalle chiese; (...) è il cantastorie, l'affabulatore, il cantore che rallegra festini, nozze, veglie (...) è il buffone che fa lo scemo e che dice scempiaggini.>>






Nel Rinascimento gli spettacoli che possono essere considerati come precursori della commedia dell'arte furono creazioni di dilettanti. Dilettante era, per esempio, l'attore-autore Angelo Beolco, in arte "Ruzante", dal nome di uno dei suoi più noti personaggi. Di famiglia benestante, si esibiva soltanto durante il carnevale, escludendo dalle sue rappresentazioni quello che oggi definiremmo "scopo di lucro". Dario Fo, durante il discorso di accettazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1997 ha detto di lui:
"Uno straordinario teatrante della mia terra, poco conosciuto, anche in Italia. Ma che è senz'altro il più grande autore di teatro che l'Europa abbia avuto nel Rinascimento prima ancora dell'avvento di Shakespeare. Sto parlando di Ruzzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo. Disprezzati soprattutto perché portavano in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l'ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia."





È del 1545 il documento che registra, a Padova, la nascita della prima compagnia teatrale della storia: è la "Compagnia di Ser Maphio", diretta da Maffeo del Re, detto Zanin, composta da soli uomini. Con loro ha inizio la "Commedia dell'arte", cosiddetta perché chi la pratica appartiene a "un'arte", cioè a un mestiere (oggi si direbbe "albo professionale").
Una ventina di anni dopo, a Roma, un atto notarile sancisce la prima volta in cui viene scritturata una donna: si tratta di una certa "domina Lucretia Senensis", ingaggiata da una compagnia nel periodo di carnevale del 1564. Questa signora Lucrezia da Siena era probabilmente una "meretrice honesta", una cortigiana d'alto livello dotata di elevata cultura che, anche a causa dell'azione moralizzatrice della Chiesa in seguito al Concilio di Trento, dovette intraprendere la carriera nel nuovo "show business". Tuttavia bisogna attendere la fine del secolo per poter vedere stabilmente delle attrici in scena.





Lo Zanni è forse il personaggio più antico della Commedia dell'Arte che, ai suoi inizi, venne anche definita "Commedia degli Zanni". Il suo ruolo è quello del servitore, e probabilmente da questo deriva il suo nome: Zanni, infatti, deriva da Gianni, nome molto diffuso nel bergamasco, zona di provenienza della grande maggioranza dei servi dei nobili mercanti veneziani. I primi canovacci prevedevano improvvisazioni di dispute fra servo e padrone, dette anche "Ludi zanneschi".
Fortemente legato alla terra, è la personificazione dell'istinto animalesco verso la soddisfazione dei bisogni primari: lo Zanni agisce spinto dalla fame e dal sesso. Esistono due tipi di Zanni: uno (il primo Zanni) sciocco, l'altro (il secondo Zanni) astuto. Il primo è stupido, lento sia nei movimenti che nella capacità di capire e di spiegarsi, il secondo è agile, scaltro, aggressivo, tendente all'ira e anche ad essere violento e manesco. Dal Secondo Zanni deriva quella che è certamente la maschera più famosa della Commedia dell'Arte: Arlecchino.





Di origine incerta (il suo nome pare derivi dall'antico tedesco Holle Konig, cioè "re dell'inferno", poi diventato Harlequin in francese) Arlecchino, la maschera più famosa della Commedia dell'Arte, deriva probabilmente  da antiche credenze pagane secondo le quali, nei periodi freddi dell'anno, gli spiriti dei morti invadevano la terra guidati da una divinità infernale. Questa divinità, che nella mitologia nordica era Elverkonge o Allerkonge (cioè "re degli Elfi"), è diventato nel medioevo uno spirito burlone, dispettoso e irriverente, dando così origine al personaggio che conosciamo.





La maschera di Pulcinella, icona del Teatro Napoletano, ha ufficialmente una data di nascita precisa: fa la sua prima apparizione, infatti, nella commedia "La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Policinella", di Silvio Fiorillo, pubblicata nel 1632. Quello di Fiorillo era un Pulcinella diverso da come lo conosciamo oggi: era gobbo e magrissimo, portava un cappello bicorno, barba e baffi. Solo verso la fine del XV secolo ha cominciato ad assumere l'aspetto che ha oggi.
La sua origine, però, è molto più antica: alcuni studiosi la fanno risalire al IV secolo avanti Cristo, a Maccus, personaggio delle Fabulae Atellane. Anche Maccus vestiva di bianco, indossava una mezza maschera e rappresentava a volte il Satiro e altre volte il Servo.
Anch'egli "secondo Zanni", Pulcinella è la personificazione dell'abbandono popolaresco a tutti gli istinti: è pigro, vorace, perennemente affamato, opportunista, sfrontato, chiacchierone, bastonatore e bastonato, colui che, cosciente dei problemi in cui si trova, riesce sempre ad uscirne con un sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelando tutti i retroscena.; ma allo stesso tempo può essere definito il prototipo del "doppio": tramite fra maschio e femmina, stupido e furbo, cittadino e campagnolo, demone e santo, saggio e sciocco.





Nata anche lei con la Commedia dell'arte,  Colombina è "la servetta", ovvero il corrispettivo femminile dello Zanni. Facile al piagnisteo così come all'innamoramento, rappresenta il prototipo della tipica ragazza senza cervello.
Il personaggio della Servetta identifica uno dei ruoli presenti nella commedia dell'arte fin dalle origini sotto i nomi più svariati. La Servetta più antica risale alla metà del Cinquecento e compare, con il nome di Franceschina (o Francesquine), nelle incisioni della Raccolta Fossard, una delle principali testimonianze iconografiche della commedia dell'arte.





l Quello dell'Innamorata è un altro dei personaggi tipici della Commedia dell'arte. Ha molti nomi, il più diffuso dei quali è FLAMINIA. Si tratta di una giovane dal carattere ribelle, solitamente di buona famiglia e di discreta cultura. Nell'intreccio scenico è perennemente in contrasto con i vecchi che vorrebbero piegarla alle proprie volontà, soprattutto per quanto riguarda la scelta del marito da imporle, che lei rifiuta perché ne vuole un altro.
L'Innamorata può essere considerata una sorta di prototipo della donna che vuole imporre la propria indipendenza in una società misogina a patriarcale.





Dal personaggio del Magnifico delle commedie rinascimentali, cioè il padrone in perenne conflitto col sevo Zanni, ha origine la maschera di Pantalone. Tipicamente veneziano, rappresenta il mercante vecchio, avido, avaro e vizioso. Esistono diverse teorie sull'origine del nome: secondo una di queste deriverebbe dal soprannome "Piantaleoni" con cui venivano chiamati i mercanti veneziani che erano soliti erigere il vessillo raffigurante il leone di San Marco dovunque andassero. Secondo altre fonti il suo nome deriverebbe da quello di San Pantaleone,  patrono di Venezia prima di San Marco. Un'altra teoria vuole che il nome provenga semplicemente dai pantaloni indossati dal personaggio fin dalla sua prima apparizione sulle scene della Commedia dell'Arte.
Con "Sior Todero brontolon", una delle commedie di maggior successo  di Carlo Goldoni, il personaggio del "mercante vecchio" assurge finalmente al ruolo di protagonista.






Protagonista assoluta de "La locandiera", commedia di Carlo Goldoni del 1750, Mirandolina rappresenta forse il primo esempio di personaggio femminile fuori dai luoghi comuni e dagli schemi, assolutamente rivoluzionario per l'epoca.
Considerata da alcuni l'evoluzione della Colombina, in realtà è talmente forte da potersi definire un prototipo. Indipendente e fiera della propria indipendenza, sfrutta più che le sue grazie la sua intelligenza, rappresentando probabilmente il primo esempio di donna "moderna".
I personaggi maschili che agiscono intorno a lei sono dei comprimari inconsapevoli della propria inferiorità e Mirandolina se ne serve come strumenti per il raggiungimento dei propri scopi.
Si tratta di un personaggio che "vive" al di là delle intenzioni dell'autore che, giova ricordarlo, era pur sempre un figlio del suo tempo. Nel finale Goldoni cerca di riportarla negli schemi consoni al suo mondo, quasi imponendole il matrimonio con Fabrizio perché così aveva stabilito il padre di lei; ma in realtà è Mirandolina che decide, è lei che sceglie come e dove dirigere la propria esistenza.





Domenico Giuseppe Biancolelli, detto Dominique (Bologna, 1637 - Parigi 1688) è stato uno dei più grandi Arlecchino della storia. Trasferitosi a Parigi intorno al 1670 diventò il più famoso attore della Comédie Italienne, che aveva un enorme successo presso il pubblico parigino. Si deve a lui la possibilità di rappresentare in francese le opere italiane, opportunità fino a quel momento proibita dalla legge. Giuseppe Arnaud, nel suo "Mille Aneddoti Artistici Teatrali - Curiosità, Racconti ecc." (Milano 1870, pag. 75) racconta che "Verso il 1700, oltre i due gran teatri, l'Opera ed il teatro della Commedia francese, v'erano a Parigi gli spettacoli temporanei delle fiere di San Germano e di San Lorenzo, fondati fin dal XII secolo. Nel 1650 avevano cominciato ad erigervi dei teatri stabili. (...) i comici del teatro francese avendo esclusivamente il diritto di parlar francese su le scene, fecero demolire que' teatri. I comici italiani i quali dopo parecchi tentativi avevano finalmente attecchito in Francia fino dal 1633, andavano debitori del permesso di parlar francese nei loro orditi drammatici, alla scaltrezza ed alla presenza di spirito del famoso Dominique (Domenico Biancolelli).
Nella contesa che vi fu a questo soggetto tra i comici francesi e gl'italiani, Luigi XIV, volle sentire egli stesso le ragioni d'ambo le parti. Egli fece venire d'innanzi a se Baron (Michel Baron, Parigi 1653 - 1729, n.d.r.) e Dominique. Baron parlò pel primo in nome dei comici francesi. Quando toccò a Dominique: Sire, diss'egli, come devo parlare? Parla come vuoi, rispose il re Ciò mi basta, soggiunse Dominique, ho vinto la mia causa. Baron volle reclamare contro questa sorpresa, ma il re disse ridendo che aveva pronunciato e non si disdirebbe."






Isabella Andreini è stata tra le più importanti attrici della Commedia dell'Arte. Insieme al marito Francesco fece parte della Compagnia dei Gelosi, attiva in Italia e in Francia fino ai primi anni del XVII secolo.
Bellissima, vantava schiere di ammiratori tra cui il cardinale Cinzio Aldobrandini, che si racconta avesse in casa un suo ritratto, appeso tra quelli di Torquato Tasso e di Plutarco.
La Andreini è stata tra le prime attrici ad aver ricoperto il ruolo da protagonista in un'opera (La pazzia di Isabella) scritta da lei stessa, rappresentata dai Gelosi nel 1589 in occasione del matrimonio tra Ferdinando I de' Medici e Cristina di Lorena.





Nel 1750 Carlo Goldoni pubblica la sua prima raccolta di commedie. Nella prefazione (chi vuole può leggersela tutta qui)  il grande drammaturgo veneziano illustra la sua "riforma" del teatro.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione rispetto al modo di fare teatro della Commedia dell'Arte, in cui gli attori erano super specializzati nell'interpretazione di un particolare personaggio e, soprattutto, non utilizzavano testi scritti, preferendo seguire i canovacci. In pratica le recite erano "a soggetto": gli attori imbastivano gli spettacoli su una traccia, affidandosi all'improvvisazione sostenuta dal "mestiere" e dall'esperienza. Goldoni propone invece l'utilizzo del copione, ottenendo due risultati fondamentali: gli attori devono imparare la parte e i personaggi non sono più standardizzati come erano quelli della Commedia dell'Arte (lo Zanni, l'Innamorato, il Vecchio, la Servetta, il Dottore eccetera).
La riforma goldoniana faticò non poco ad affermarsi, soprattutto per l'opposizione degli attori che, abituati ai canovacci e poco inclini a imparare a memoria le parti scritte da un autore, tentarono di rifiutare questo nuovo sistema.





All'inizio del 1600, parallelamente alla Commedia dell'Arte, fatta da professionisti, si sviluppa in Italia, a partire dalla zona di Roma per poi diffondersi nel resto del Paese, la "Commedia Ridicolosa", la cui caratteristica principale è quella di essere fatta da autori e attori dilettanti. Nasce, in pratica, il Teatro Amatoriale. Come suggerisce il nome, scopo della Ridicolosa è quello di divertire e divertirsi.
Si tratta di una forma di spettacolo considerata "minore" dai professionisti dell'epoca, basata essenzialmente sul dialetto, che prende in prestito i personaggi della Commedia dell'Arte, soprattutto gli Zanni, e li affianca ad altri fortemente legati al territorio.
Mentre gli spettacoli della Commedia dell'Arte erano itineranti, quelli della Ridicolosa si tenevano nei teatri delle Accademie (in pratica delle vere e proprie Filodrammatiche), diffuse in moltissime città, composte di persone che non avevano bisogno di guadagnare col mestiere dell'attore e quindi potevano permettersi di non andare a cercarsi "il pane" spostandosi in continuazione.





Il 20 maggio del 1932 esce, col prezzo di copertina di 2 lire (circa 4 euro attuali), il primo numero della rivista "Filodrammatica - mensile di Teatro", Edizioni Alfa di Milano.
Ogni numero della rivista contiene il testo di una commedia e la rubrica "Cronache delle Filo-drammatiche", dove vengono pubblicati i resoconti degli spettacoli che le Compagnie Amatoriali dell'epoca sono invitate ad inviare.
Il primo numero della rivista contiene un testo del drammaturgo francese Henry Bernstein, "L'artiglio" (1906). A partire dalla terza uscita appaiono le "Cronache". La rivista cesserà le pubblicazioni nel 1949.





















 
Compagnia Teatrale "Caffè Sospeso"
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